La romana by Moravia Alberto

La romana by Moravia Alberto

autore:Moravia Alberto
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2012-02-14T05:00:00+00:00


CAPITOLO TERZO

A Giacomo rinunziai del tutto; decidendo di non pensarci più. Sentivo che l'amavo e che, se fosse tornato, sarei stata felice e l'avrei amato più che mai. Ma sentivo pure che non mi sarei mai più lasciata umiliare da lui. Se fosse tornato, sarei rimasta di fronte a lui, chiusa nella mia vita come in una fortezza che, sin quando non volevo uscirne, era veramente imprendibile e incrollabile... Gli avrei detto: «Sono una puttana da marciapiede... niente di più... se mi vuoi, bisogna che mi accetti quale io sono». Avevo capito che la mia forza non era di desiderare di essere quello che non ero, ma di accettare quello che ero. La mia forza erano la povertà, il mio mestiere, la mamma, la mia brutta casa, i miei vestiti modesti, le mie umili origini, le mie disgrazie e, più intimamente, quel sentimento che mi faceva accettare tutte queste cose e che era profondamente riposto nel mio animo come una pietra preziosa dentro la terra. Ma ero sicura che non l'avrei mai più riveduto; e questa certezza me lo faceva amare in una maniera nuova per me, impotente e malinconica ma non priva di dolcezza. Come si amano coloro che sono morti e non torneranno più.

In quei giorni ruppi definitivamente i miei rapporti con Gino. Come ho già detto non mi piacciono le interruzioni brusche e voglio che le cose vivano e muoiano della loro vita e della loro morte. I miei rapporti con Gino sono un buon esempio di questa mia volontà. Essi cessarono perché la vita che era in essi cessò e non per colpa mia e neppure, in certo senso, di Gino. Cessarono in modo da non lasciarmi né rimpianti né rimorsi.

Avevo continuato a vederlo ogni tanto, due o tre volte al mese. Egli mi piaceva, come ho detto, sebbene avessi perduto ogni stima di lui. Uno di quei giorni mi diede per telefono un appuntamento in una latteria, e io gli dissi che ci sarei andata.

Era una latteria del mio quartiere. Gino mi aspettava nella saletta interna, un camerotto senza finestre, tutto murato di mattonelle di maiolica. Come entrai, vidi che non era solo. Qualcuno sedeva con lui, voltandomi le spalle. Vidi soltanto che indossava un impermeabile verde e che era biondo, con i capelli tagliati a spazzola. Mi avvicinai e Gino si levò in piedi ma il suo compagno restò seduto. Gino disse: «Ti presento il mio amico Sonzogno». Allora anche quello si levò in piedi e io gli porsi la mano guardandolo. Ma come me la strinse, mi sembrò che me la chiudesse in una tenaglia e cacciai un grido di dolore. Egli lasciò subito la stretta e io sedetti sorridendo e dicendo: «Ma sapete che fate male... fate sempre così?»

Egli non disse nulla e neppure sorrise. Aveva il viso bianco come la carta, la fronte dura e sporgente, gli occhi piccoli, di un celeste chiaro, il naso camuso e la bocca simile a un taglio. Aveva i capelli biondi, ispidi e slavati, tagliati corti e le tempie schiacciate.



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